Il cristiano filocalico

Tempo PasqualeL’amore del bello e la vita cristiana

 

La bellezza salva il mondo

 

Negli ultimi anni uri numero notevole di convegni, libri, conferenze sono stati proposti al pubblico col titolo La bellezza salverà il mondo.
Non smette di affascinare e di interessare il legame che intercorre, nel cristianesimo, tra salvezza e bellezza. Nel cristianesimo come tale, nella tradizione dell'Oriente cristiano in modo più consciamente esplicito. Salvezza e bellezza sono associate, nell'ambito della proclamazione di fede,
a Gesù Cristo nostro Salvatore.
Spostando il verbo dal futuro al presente, la bellezza assume un'altra dimensione: la fede si compie nella spiritualità, nell'oggi di una salvezza di cui posso leggere e di-scernere il compimento.
Ciò che noi viviamo è figura di ciò che crediamo. L'escatologia è momento di rivelazione, la salvezza non si manifesterà come apparenza ma nel contenuto totale di ogni realtà creata. Questo modo di capire l'escatologia come rivelazione della Bellezza presente nella verità e nella bontà potrebbe fare spostare, nella pastorale, l'accento: dall'apologia alla testimonianza, dall'esplicitazione verbale del dato di fede alla resa in immagine del contenuto della speranza.
Il fascino attira e porta lontano. Il bello, come dicono tanti, « attira a sé ». L'identità di questo «sé » mette in gioco la verità dell'uomo. Se mi attira a sé una bellezza che passa, anch'io passo e il
mio desiderio è povero. Se mi attira una bellezza che non passa, il mio desiderio non passerà e io con il mio desiderio.
La pedagogia della bellezza è pasquale: tende a farci passare da ciò che passa a ciò che non passa, da ciò che è apparenza a ciò che è reale. Per questo motivo, chi arriva a scoprire la bellezza della liturgia ha compiuto la sua iniziazione. Lì si attinge e si è raggiunti da ciò che non passa e che fa di noi un essere per la vita; per la vita risorta, si intende.
Non rimarrebbe molto della discussione che occupa i filosofi con una bellezza confinata all'estetica, né rimane molto delle discussioni sul significato dell'arte che fanno dell'artista il difensore di una bellezza a misura sua. Una bellezza senza vita (ridotta al concetto di verità), come una vita senza bellezza (ridotta al valore assoluto di un bene morale staccato dalla persona) sono un
controsenso nel cristianesimo: il rapporto alla salvezza non può prescindere dall'unire bellezza e vita.
La bellezza è legata a Cristo nei misteri che manifestano la nostra salvezza: l'incarnazione, la morte e risurrezione. Bellezza che ha un « sapore » trinitario: essa è, rispetto al Padre, associata al mistero della creazione come Sofia ed è, rispetto allo Spirito santo, espressione del mistero della vita trasfigurata. Fuori di questa concezione trinità-ria della salvezza, ogni discorso sulla bellezza
può essere preda dei più sofisticati abusi di pensiero.
Eppure non è stata ancora approfondita la novità antropologica che porta l'affermare che come la salvezza, la bellezza ci parla della santità e della bontà di Dio in favore dell'uomo. C'è una teologia biblica della bellezza, ma non risponde ai canoni dell'estetica filosofica né alla forzata riduzione della bellezza alla bontà. Nella sacra Scrittura, il legame tra bene e bello non si può ridurre a una constatazione filologica: tób ebraico corrisponde a kalós in greco e ricorre 741 volte nell'Antico Testamento. Quale può essere l'interesse di una simile osservazione? Buono, bello, affascinante, retto, dolce, utile, sono parole usate come sinonimi, vogliono qualificare l'essere in una continua interazione con la vita come se ne fossero la sua ermeneutica. Potrebbe Dio essere desiderabile se
non fosse creduto bello, creatore di bellezza? La manifestazione di gioia dopo la creazione dell'uomo, «molto bello», cosa significa? L'uomo è bello in forza della vita creata e poi salvata.
Se il bello è affascinante, lo è perché suggerisce l'essere che racconta la vita. Fiatone lo aveva già intuito quando affermava che il bello non attira in modo disinteressato: anzi, attira proprio perché risponde a un bisogno, a un desiderio. Se Fiatone dice che il bello suscita l'eros, il cristiano potrebbe dire che il bello suscita la fede. La fede è eros che porta un'attesa di pienezza di vita.
Si può perciò legare la bellezza alla qualità della speranza e dell'attesa cristiana, perché è rispetto a ciò che aspettiamo e speriamo che si muove il nostro desiderio. I mistici più di altri identificano ciò o colui che aspettano con quanto di più bello ci possa essere. Già Vladimir Solov'èv teorizzava che l'estetica, il cui « principio oggettivo è la bellezza», ha per «grado assoluto» la mistica. Nel cristianesimo, la vicinanza tra estetica e mistica non porta all'inganno. Se per mezzo di Cristo sono create tutte le cose visibili, allora la bellezza delle cose create porta l'impronta dell'invisibile increato, ossia porta il sigillo di Dio. La bellezza assume poi il compito di « riallacciare la creazione artistica ai fini superiori della vita umana». La tesi sostenuta da P. Evdokimov nel suo libro
Teologia della bellezza è proprio questa: salverà il mondo quella bellezza che si concretizza come spazio di manifestazione dell'invisibile, come ricostruzione dell'invisibile e come ricostruzione della verità dell'uomo. Secondo Spidlìk, la mistica cristiana assume il superamento di due abissi: quello tra il sensibile e l'intellettuale; quello tra l'intellettuale e il divino. Ora, mentre il primo abisso può essere superato dalle forze dell'uomo, il secondo lo può essere solo se Dio si fa uomo.
La ricchezza di un'affermazione che unisce bellezza e salvezza è proprio la dottrina dell'incarnazione e della corporeità trasfigurata come condizione indispensabile alla realizzazione della fede e condizione della novità assoluta del cristianesimo, novità celebrata nella risurrezione di Cristo. La novità del cristianesimo non è solo sociale o solo morale. Non basterebbe, perché alla
fine la morte rimane « divisione », separazione irrisolta. « La reintegrazione umana non si può fermare all'uomo sociale. La legge della morte divide… Per vincere la morte bisogna che l'uomo si leghi al tutto, non dalla superficie sensibile ma dal centro assoluto che è Dio. L'uomo universale è integrato dall'amore divino… questo amore fa scendere la grazia divina nella natura terrena e trionfa
non solo del male morale ma anche delle sue conseguenze fisiche, la malattia e la morte. L'opera di questo amore è la Risurrezione finale… integrazione dell'umanità totale… incarnazione definitivadella Sapienza divina ».

 

Il superamento di un sospetto

 

II sospetto sulla bellezza esprime un aspetto del peccato originale: la tendenza a preferire la creazione al Creatore, la tentazione di possedere i doni dell'essere a immagine di Dio (libertà e creatività) senza diventare somiglianti a lui nell'amore kenotico.
La discussione tra chi rende omaggio alla bellezza della natura (Kant) e chi preferisce la bellezza dell'arte (Hegel) mostra come, rispetto alla fonte a cui riferire la bellezza, è facile spostarsi da Dio, al cosmo, all'opera d'arte. L'uomo non rivela ma crea la bellezza, ne è il produttore, il consumatore. Il commerciante anche.
A causa di questa perversione possibile si è levata la voce della teologia contro l'arte per affermare che c'è una sola vera manifestazione della verità: la rivelazione divina. Perciò nel cristianesimo occidentale è stata accentuata la separazione tra bellezza e fede, come pure tra bellezza e verità. La radicalità della fede porta chi crede a essere testimone, riformatore di società, apostolo, non poeta o artista. Non ha tempo di fare « opere d'arte », perché la rivelazione di cui si sente responsabile riguarda la verità dell'unico Dio (fa il missionario), il perdono dei peccati (fa il prete), l'amore per tutti (fa opere di carità).
Tuttavia, ancora nel Medioevo, l'arte non è separata dalla testimonianza: non si fanno le chiese belle per il gusto del bello ma perché la casa del Signore risplenda della sua bellezza (Sai 26,8) e diquesta bellezza riempia la terra. Si racconta che Suger (1081-1151) mentre faceva costruire la chiesa di Saint-Denis era stupefatto dalla luce che entrava tramite le vetrate gotiche, richiamo alla luce divina che illumina la chiesa, espressione dell'unità tra l'opera creatrice di Dio (la luce del sole) e l'opera dell'uomo (i colori delle vetrate). Ne viene fuori un'illustrazione della Parusia in Nicola Cabasilas: della stessa luce vivono i santi e quando muoiono « la luce non si allontana da loro, è sempre con loro: risplenderanno i giusti come il sole nel regno del Padre loro (Mt 13,43 ) ». Per via della luce che è la santità, « il vero e il bene si offrono alla contemplazione, la loro vivente simbiosi segna l'integrità dell'essere e fa scaturire la bellezza. Con Cristo è disceso tutto il ciclo sulla terra e l'anima cristiana è presa per sempre da questa visione».
Quindi nella misura in cui riguarda Dio, la rivelazione, la santità, la bellezza non è un concetto uguale agli altri. È oltre, forse più, dei trascendentali. Nei trascendentali, a lungo, non figurava il bello accanto all'essere, il vero, il buono, l'uno. Il percorso è interessante da notare: il bello è stato inserito nei trascendentali dal pensiero medioevale progressivamente. Solo molto più tardi arriva a
essere considerato « il trascendentale dei trascendentali» (nel pensiero di Maritain per esempio o nella sistematica teologica di von Balthasar).
Perché è così importante riconoscere il bello come un trascendentale? Bisogna garantire che non si riduce la bellezza alla sua apparenza, ma si riconosce che essa è il modo e il contenuto della rivelazione divina: rende conto della percezione, aiuta a decifrare la figura di Dio che si rivela nella storia e nella carne, quindi rende conto di Cristo, sfocia in fede.
L'artista come il santo rivela l'Eterno attraverso ciò che sembra più lontano e più estraneo a Dio: la materia (trasformata dall'ispirazione), il peccato (trasformato dalla grazia.). Né l'artista né il santo è creatore ma «rivelatore» del bello. Perciò se non c'è un Altro, la materia dell'arte è opaca, il peccato dell'uomo la rende polvere. Rivela l'Altro chi lo ha contemplato. L'artista e il santo sono dei contemplatori diventati mediatori per via di una iniziazione che riguarda la materia e che viene
chiamata catharsis. Chi vuole contemplare viene purificato (cfr. Isaia 6,8), chi vuole creare viene provato. Dire che la bellezza non è solo rivelazione, ma catarsi, evidenzia un'altra verità: c'è una somiglianza comunicativa tra ciò che si vede e chi vede.
Rovesciando l'affermazione di san Giovanni Climaco, Cabasilas afferma che la contemplazione della Risurrezione comunica la bellezza, quella bellezza che si rivelerà a tutti nella Parusia. I giusti risplenderanno assieme al Signore per la luce ricevuta da lui, bellezza manifestata da Cristo che «apparirà sulle nubi a tutti gli sguardi e mostrerà la sua Bellezza a oriente e a occidente… Dio in
mezzo a dèi, bellissimo corifeo di un coro bellissimo ».
Come ogni dono (la libertà per esempio) che ci fa vivere il nostro essere creati secondo l'immagine e la somiglianza divina, la bellezza ha una sua possibile perversione che è quella della esaltazione della materia ricoperta di un velo di apparenza affascinante solo per i sensi esteriori.
Parodia e inganno, tale bellezza è quel tralcio staccato dalla vite, che non porta i frutti promessi.
Perciò l'ascesi propone una via di beatitudine: « Beato chi, pur non vedendo, crederà ». Cioè beato chi vedrà la realtà già trasfigurata. La bellezza ha qui il suo compimento: quando giunge l'ora della beatitudine del credere senza vedere. Bellezza diventata amore. Amore che fa aderire a Cristo crocifisso e risorto. Ogni esperienza di bellezza può avere per analogia una funzione rivelatrice. Ma
nessuna esperienza profana di bellezza può portare a riconoscere nello « sfigurato » la figura di Dio.
Questo riconoscere l'Altro è dato solo dalla fede. Trasfigurato è allora la sorte di chi vede nello sfigurato la Figura, il volto di Dio e rimane vivo. […]

 

tratto da:
N. VALENTINI (ed.), Cristianesimo e Bellezza. Tra oriente e occidente, Ed. Paoline 2002, pp.113-125.